AMBIENTE: UE; NUOVO RICHIAMO ITALIA PER VILLAGGIO SARDO
(ANSA) - BRUXELLES, 27 FEB - Bruxelles ha deciso di passare ad una marcia superiore nella procedura di infrazione contro l'Italia per non avere protetto importanti siti naturali nel quadro della direttiva comunitaria Habitat. La Commissione europea, secondo quanto appreso dall'Ansa, ha infatti inviato all'Italia un parere motivato complementare, che rappresenta l'ultima tappa prima di un eventuale deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia dell'Ue. In particolare, nel mirino di Bruxelles e' la costruzione in Sardegna di un complesso turistico sul litorale protetto a Is Arenas (provincia di Oristano, comuni di Narbolia e San Vero Milis) di 220.000 metri quadrati con accanto un campo da golf. Per Bruxelles la costruzione di questo villaggio turistico compromette l'integrita' di una zona di un elevato interesse ambientale e naturalistico. (ANSA).
1 commento:
dal quotidiano La Nuova Sardegna,
2 marzo 2008
L’Italia è ormai a un passo dal processo davanti alla Corte di giustizia
europea.
Un nuovo sisma politico sul caso «Is Arenas».
Non sarebbero
state rispettate le norme di tutela in un Sito di interesse comunitario.
Nel progetto originario prevista la costruzione di oltre 222mila metri cubi
di cemento sulle dune boscate. Piero Mannironi
ORISTANO. Il segnale arrivato da Bruxelles è politicamente devastante: l’Italia
non ha saputo o voluto proteggere un suo Sic (Sito di interesse comunitario)
e ora è a un passo dal deferimento alla Corte di giustizia dell’Ue. Rovinose
le conseguenze d’immagine, per non aver ottemperato agli obblighi di tutela
di un’area di altissimo pregio ambientale, inserita nella rete “Habitat
2000”. Ma molto serie sono sicuramente anche le conseguenze di natura
economica, che sembrano scontate nel caso si dovesse arrivare a un giudizio
e, quindi, a una sentenza. L’invio di un «parere motivato complementare»
da parte della Commissione europea all’Italia è un atto che non solo riapre
l’annoso «caso Is Arenas», ma lo porta a un passo da un clamoroso epilogo: l’Italia
e la Regione Sardegna potrebbero essere costrette a pagare in modo molto
concreto l’ostinazione di una società, la Is Arenas srl, che sulle dune
boscate di Narbolia aveva progettato di vomitare la bellezza di 222.900
metri cubi di cemento. Una società che non si è mai arresa ai vincoli
comunitari e che, grazie anche a un’abile diplomazia sotterranea, ha trovato
non pochi appoggi e atteggiamenti compiacenti nel mondo della politica.
Monica Frassoni, copresidente del gruppo Verdi-Ale nel parlamento europeo, è
da anni in prima fila nella battaglia per arginare il cemento a Is Arenas. E’
anche grazie a lei, infatti, che i progetti immobiliari sulle dune boscate
di Narbolia sono diventati un caso internazionale. Ecco il suo commento alla
notizia della nuova offensiva della Commissione europea: «Siamo soddisfatti
per l’invio del parere motivato complementare: così la Commissione ribadisce
l’insostenibilità del progetto turistico a Is Arenas dal punto di vista
della normativa ambientale europea. E’ davvero improbabile che le autorità
italiane riescano a questo punto a difendere l’indifendibile e a convincere
la Commissione della compatibilità del complesso turistico con il sito di
interesse comunitario. Ci sono tutte le premesse per l’invio alla Corte del
Lussemburgo e per una condanna. Come Verdi al parlamento europeo seguiremo
da vicino gli sviluppi della procedura di infrazione». Anche dagli
ambienti ecologisti regionali arrivano giudizi e valutazioni positivi sull’iniziativa
di Bruxelles. «Mentre il gruppo immobiliare Is Arenas srl annuncia
inaugurazioni delle sue strutture turistico-edilizie sulle dune di Is
Arenas - dice Stefano Deliperi, portavoce del Gruppo d’Intervento Giuridico
e degli Amici della Terra -, arrivano grazie anche ai nostri esposti, ai
nostri ricorsi e alle interrogazioni parlamentari dell’onorevole Monica
Frassoni, ulteriori integrazioni alla procedura di infrazione comunitaria in
corso. Prossimo obiettivo il deferimento alla Corte di giustizia europea. E’
davvero curioso che, nel caso di condanna, saranno l’Italia e la Regione
autonoma della Sardegna a pagare i conti del gruppo immobiliare Is Arenas
srl». Si riapre dunque una storia maledettamente complicata e con
alcune zone d’ombra mai chiarite. Una storia che si è dipanata tra blitz
ministeriali al limite della crisi istituzionale, interrogazioni
parlamentari e sospetti sulla provenienza dei capitali. Ma anche una storia
che ha anche fatto tremare la poltrona della potente Marina Masoni,
consigliere di Stato del Canton Ticino, e portato un ministro dell’Ambiente,
Altero Matteoli a incassare una figuraccia, chiedendo - primo caso in
Europa - la cancellazione di un Sic «per depauperamento del valore
ambientale del sito». Come risposta, ovviamente, Bruxelles aprì una nuova
procedura di infrazione contro l’Italia proprio perché Matteoli con la sua
richiesta aveva implicitamente ammesso una propria grave risponsabilità
politica. Ben diverso l’atteggiamento del predecessore di Matteoli, Edo
Ronchi, che spedì i carabinieri a Villa Devoto per notificare all’allora
presidente della Regione Mario Floris, dopo avere chiesto inutilmente alla
Regione di rispettare le norme procedendo a una valutazione di impatto
ambientale per Is Arenas, che stava applicando l’articolo 5 del decreto
legislativo numero 112 del 31 marzo 1998. E cioé l’attivazione dei poteri
sostitutivi dello Stato «con riferimento alle funzioni e compiti spettanti
alle regioni e agli enti locali in caso di accertata inattività che comporti
inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea».
Quel «terremoto istituzionale» fu come uno choc politico e su Is Arenas si
concentrarono così molte attenzioni. Prima fra tutte, per esempio, chi ci
fosse realmente dietro quel gigantesco progetto immobiliare che doveva
crescere intorno a un campo da golf. Dubbi sollevati, con una certa
ruvidità, anche in Parlamento dall’attuale presidente della Regione Puglia
Nichi Vendola e dal sottosegretario Luigi Manconi. Da sempre il volto
pubblico dell’operazione è stato Piero Maria Pellò, oggi 73 anni, nato a
Milano, ma residente in provincia di Novara. Alla fine degli anni Ottanta
riuscì a entrare nella stanza dei bottoni dell’Enel. Nel 1987, infatti,
venne nominato nel consiglio d’amministrazione, grazie al gradimento del
Partito socialdemocratico. Ci restò fino al 1992. Ma scavando nella vita
della società che vuole costruire a Is Arenas si scoprì che l’azionista di
maggioranza era la Antil BV, una società a responsabilità limitata
riservata, iscritta al registro delle società il 12 dicembre 1972, con il
numero 33168233. Il suo indirizzo era Postbus 782 1000 AT, Amsterdam. Cioé
semplicemente una casella postale. Sembra che in passato abbia cambiato
molte volte il proprio recapito. Altro dato: prima del 1996 risulta avesse
quattro dipendenti, dopo, nessuno. Fino a pochi ani fa, la società era
amministrata da due organi dirigenti: una holding e una persona fisica. Si
trattava della Intra Beheer di Amsterdam e dell’avvocato d’affari di Lugano
Diego Lissi. La Intra Beheer era una holding che non aveva dipendenti e non
realizzava profitti. Ma il dato più interessante è che rappresentava il nodo
strategico di un’enorme ragnatela di company che si irradiava dall’Olanda,
ma con solide radici nel Canton Ticino. Si trattava di un vero e proprio
sistema con ramificazioni impressionanti. Nella sola Olanda, la holding di
Amsterdam era dentro ben 357 società. O meglio, ne deteneva il 100% del
capitale o comunque quote che ne garantivano sempre il controllo. Altro
dato interessante: nel 99% dei casi si trattava di finanziarie. C’era poi un
fatto strano, che non può non far pensare a un enorme sistema societario
virtuale che, molto probabilmente, ha una sua logica intrinseca, una
funzionalità mirata. E cioé che l’indirizzo e il numero di telefono di quasi
tutte queste società erano gli stessi della casa madre, cioé la Intra
Beheer. Era così anche per la Antil BV, che controllava la Is Arenas.
Interessante e complessa anche l’altra figura che controllava la Antil BV, e
cioé l’avvocato fiduciario di Lugano Diego Lissi, in passato tra gli uomini
più fidati nella Fidinam SA del potente banchiere Tito Tettamanti per anni
“padre padrone” della Bsi, la Banca Svizzera Italiana, che negli anni
Novanta era considerata dalla procura di Milano il crocevia di
inconfessabili segreti. Il nome di Lissi comparve sui giornali svizzeri in
alcune inchieste delicate e lui spostò prudentemente il baricentro delle sue
attività nel principato di Monaco. Ora c’è da chiedersi cosa è cambiato
nel dna societario della Is Arenas srl. L’unica cosa certa è che la Antil BV
è ancora l’azionista di riferimento. Non ha più il 52% delle quote sociali,
ma comunque controlla la rispettabile quota del 49,52%. Dopo la società
anonima di capitale, l’azionista più forte è la Elmit srl con il 18,39% del
capitale. Si tratta di una società pavese che ufficialmente produce
calcestruzzo, ma che, attraverso la Esterel Technoinvestiments SA ha radici
che arrivano lontano, in Lussemburgo. C’è poi, al 15,64% la Siref spa, una
società controllata al cento per cento dal gruppo Intesa-San Paolo. Molte
cose sembrano dunque essere cambiate dentro la Is Arenas srl. Tranne una. E
cioé la presenza della misteriosa Antil BV che praticamente rappresenta la
metà del capitale sociale. Per capire meglio, si dovrebbe ripercorre ancora
una volta il cammino tortuoso che porta in Olanda e in Svizzera per scoprire
se qualcosa è cambiato. O meglio, per capire se qualcosa si è chiarito su
questa società anonima di capitale e chi rappresenta davvero. Quesito che
attende da anni una risposta.
(testo integrale)
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